venerdì 8 gennaio 2016

Luiz Ruffato - Sono stato a Lisbona e ho pensato a te

recensione lisbona
Luiz Ruffato
Sono stato a Lisbona e ho pensato a te
traduzione: Gian Luigi De Rosa
La Nuova Frontiera, 95pp

Luiz Ruffato, scrittore brasiliano più noto all’estero che Italia, dove è stato solo intravisto con Come tanti cavalli per Bevivino Editore, sbarca alla Nuova Frontiera con Sono stato a Lisbona e ho pensato a te, un libro sull’immigrazione, in particolare quella dei brasiliani nel vecchio continente, un tema non nuovo, ma confezionato in un testo breve, eppure un fiume di parole. Intensissimo. Ruffato presenta il suo racconto come “la testimonianza, leggermente modificata, di Sérgio de Souza Sampaio, nato a Cataguases (Minas Gerais, Brasile) il 7 agosto del 1969…”: un artificio a cui si aggiunge l’uso di una prima persona che consente una grandissima oralità a Ruffato, un parlato fitto, in cui virgolettato e discorso indiretto si mescolano di continuo in un racconto sereno, lucido ed anche ironico, sebbene regni forte la consapevolezza che quella nuova vita cercata in Portogallo non potrà, molto probabilmente, ricongiungersi con la vita che Serginho si è lasciato dietro. Ruffato demitizza il fascino che nell’immaginario del suo migrante brasiliano riveste ancora l’Europa, e quella di fare fortuna all’estero e tornare nel proprio paese è un‘illusione che non tarda a palesarsi come tale. Interessante scoprire, nella postfazione del traduttore, che il disincanto di Serginho abbia anche una forte dimensione linguistica che nella traduzione ovviamente si perde. Serginho è convinto che, essendo madrelingua portoghese, andare a Lisbona sia la scelta migliore, Ruffato invece dissemina la sua strada di portoghesi, brasiliani, angolani, saotomensi, capoverdiani che, seppur lusofoni, non parlano il suo stesso portoghese, così quel suo asso nella manica si trasforma in un ostacolo in più da superare. Deciso a cambiare vita dopo la nascita accidentale di un figlio ed un matrimonio con una ragazza poco stabile mentalmente, stanco delle diatribe tra le due famiglie per l’affidamento del piccolo Pierre e convinto, un giorno, di potersene tornare ricco a Cataguases per buttarsi nel commercio edilizio, Serginho scoprirà che «non siamo niente, “Non abbiamo neanche un nome”, siamo i brasiliani, “E cos’è che siamo in Brasile?”, sempre niente, siamo gli altri, “Che paese di merda!, terra di ladri e figli di puttana!». Una vivida citazione che chiosa il libro col il peso di un monito.

Luca Benedetti
(originariamente pubblicato su Pulp Libri n.89 gennaio/febbraio 2011)



Ian McEwan - Solar

recensione solar luca benedettiIan McEwan
Solar
traduzione: Susanna Basso
Einaudi, 346pp
  
Sin da prima della sua pubblicazione in originale, Solar era stato annunciato come il grande romanzo di Ian McEwan sul riscaldamento globale, ma se in molti si aspettavano un altro Henry Perowne – il coscienzioso e quadrato protagonista di Sabato – McEwan si affida ad un personaggio tutt’altro che predisposto a confrontarsi con la sfida del cambiamento climatico terrestre: Micheal Beard, un fisico di mezz’età, basso, grasso, adultero e ricambiato, opportunista ed incapace di affetti sinceri, un’autorità in materia per un premio nobel vinto in gioventù, ma da anni privo di una vera e propria idea rivoluzionaria. E remunerativa. Questa scelta che ha colpito sia la critica (soprattutto quella oltreoceano, che vi ha voluto vedere una satira d’autore sul mondo degli scienziati, spesso piegati a giochi di convenienza, potere ed invidie professionali) che i lettori, completamente impreparati alla comedy che è Solar. Una scelta, però, a ragion veduta, con cui McEwan evita il rischio di un romanzo/sermone dagli spiccati toni moraleggianti per farne una lettura più sottile, più piacevole, ma soprattutto inedita. Beard è sostanzialmente uno scettico approfittatore, ma è anche un coacervo di goffaggine e miopia, un personaggio-simbolo di una certa elité scientifica che a McEwan non piace, eppure è adorabile, un (anti)eroe – verrebbe da dire in stile Douglas Adams – che tra donne, vendette, equivoci, gag e sogni di gloria e fotosintesi reclama per sé tutta la scena, cui di apocalittico resta ben poco. Dunque, la qualità più evidente di Solar non è tanto la vena polemica o la trama in sé, bensì la grandissima capacità di McEwan di modellarsi ai propri bisogni pur rimanendo saldo sul suo stile; senza perdere il suo famoso bisturi letterario con cui ha fatto luce nella mente di tanti personaggi, con Micheal Beard rivela anche un’ironia ed una malizia che a tratti fanno pensare che non sia affatto un libro di Ian McEwan. La sequenza nell’Artico, quando Beard è certo di aver avuto un congelamento (ed un “distaccamento”) del pene, o quando la stampa lo trasforma in uno scienziato misogino e sessista, ne sono un esempio; e poi dicono che lo “Ian Macabre” dei primi libri ha posato la penna tanti anni fa! McEwan ancora una volta dimostra di saper scrivere di tutto, dei sentimenti, della guerra, della sua amata scienza o della leggerezza.

Luca Benedetti
(originariamente pubblicato su Pulp Libri n.89 gennaio/febbraio 2011)

Marco Lodoli - Italia


Marco Lodoli
Italia
Einaudi, 106pp

Dopo la parentesi scolastica con Il rosso e il blu, Marco Lodoli torna alla narrativa con Italia, ritratto di una famiglia romana rievocato dalla giovane governante che dà il titolo al libro.
Italia viene assegnata alla famiglia Marziali da un misterioso Istituto dove giovani ragazze orfane vengono allevate ed istruite per servire e prendersi cura delle persone presso cui presteranno servizio e, questo severo “destino”, che dell’Istituto pare quasi una legge, sarà per Italia il comandamento di una vita intera. La voce di Italia è quella di una narratrice attenta che sembra conoscere bene tutti i segreti della famiglia Marziali, soprattutto le debolezze che negli anni andranno sempre più acuendosi: il padre, che tiene ancora vivi i ricordi della Repubblica Sociale e che non riesce a farsi una ragione di una nazione che cambia, la madre con i suoi silenzi e la sua paura del mondo, i tre figli, Tancredi, Marianna e Giovanni, ciascuno con la propria strada che non riesce mai ad intrecciare quella degli altri. Italia ricorda gli amori di Marianna che la porteranno sempre più lontano da casa, sempre con un uomo differente, sempre quello giusto, Tancredi che sposerà la politica armata e fuggirà all’estero e Giovanni che, precoce lettore, sceglie la scrittura che non gli darà mai soddisfazione.
E Italia? Mi viene spontaneo pensare ad un’altra storia di Lodoli, Sorella: Italia e Suor Amaranta hanno percorsi inversi, l’una sembra non aver diritto ad una vita propria mentre l’altra, dal convento, viene invece spinta fuori a respirarla, la vita. Entrambe sembrano condurre due esistenze tanto marginali da sfiorare una patina di irrealtà, eppure Lodoli infonde loro un battito grandissimo, commovente, una bontà ed una semplicità che affiora nei gesti, nell’ingenuità o nella saggezza, e quelle piccole esistenze diventano piccole virtù.
Così Italia resta sempre con i Marziali, quasi una presenza sovrannaturale, che non invecchia mai, che osserva, non giudica ed aiuta, senza sentimenti per sé ma solo per gli altri, fino all’ultimo giorno, quando ogni figlio se n’è andato ed il vecchio ingegner Marziali esala l’ultimo respiro e ad Italia non resta che chiudersi bene la porta alle spalle ed andar via, l’ultimo gesto al servizio di una famiglia che non c’è più.

Luca Benedetti
(originariamente pubblicato su Pulp Libri n.89 gennaio/febbraio 2011)

Massimiliano Smeriglio - Garbatella combat zone

Massimiliano Smeriglio
Garbatella combat zone
Voland, 170pp. 

A chi non è di Roma, la parola Garbatella farà probabilmente pensare unicamente alla serie tv dei Cesaroni o alla Banda della Magliana, in realtà la sua storia inizia molto prima: questo quartiere di Roma Sud, vicino alla Basilica di San Paolo, nasce subito dopo la prima guerra mondiale come una borgata operaia, in vista dei successivi insediamenti industriali della zona, sullo stile delle città-giardino inglesi, con abitazioni divise in lotti, villini familiari e suggestive piazzette naturali tra una palazzina e l’altra; divenuta poi uno dei cuori delle Resistenza durante l’antifascismo, rimane tutt’oggi uno dei quartieri più tradizionalmente rossi della città. Una delle caratteristiche più intrinseche della Garbatella, però, cui Smeriglio fa appello per tutto il testo, è quella di esser sempre rimasta un quartiere dei romani - nonostante le varie riqualificazioni edilizie o le comparsate televisive più o meno recenti - immune a quel melting pot di tradizione e movida notturna che oggi contraddistingue il centro storico o Trastevere, e sempre fedele a quell’ideale di “paese nella città” che le dà tanto fascino. Massimiliano Smeriglio - Assessore alle Politiche del lavoro e della formazione della Provincia di Roma - conosce bene la Garbatella, vi abita e l’ha amministrata fino a pochi anni fa; con questo noir capitolino, un titolo davvero insolito nel catalogo Voland, ne racconta sia la coriacea romanità, sia un aspetto più antropologico e politico, quello delle ultime generazioni, sempre più disaffezionate alla politica e meno padrone dei propri retaggi. Questo il succoso impianto di Garbatella combat zone, la storia di Valerio Natali, giovane rapinatore acculturato, che tra Roma, Dubai ed il sud America sceglie la via più facile del crimine per non rimanere intrappolato in una vita senza prospettive, tra lavori saltuari ed ambizioni irrealizzabili. Una scelta violenta, germinata dalle storie del nonno partigiano e dai trascorsi dei suoi genitori con Lotta Continua, ma se in altri anni certi ideali erano ben chiari, per Valerio sono lontani ormai, sono una memoria per cui è difficile lottare ancora e ciò che resta è guardare altrove, lontano, dall’altra parte dell’oceano e lasciarsi tutto alle spalle.

Luca Benedetti

(originariamente pubblicato su Pulp Libri n.88 novembre/dicembre 2010)

Mercè Rodoreda - Giardino sul mare

Mercè Rodoreda
Giardino sul mare
traduzione: Giuseppe Tavani
La NuovaFrontiera, 192pp 

Prosegue con La Nuova Frontiera la riproposta delle opere di Mercè Rodoreda, l’autrice catalana de La Piazza del Diamante e Via delle Camelie, ma se questi avevano esplorato l’universo femminile ed avevano una spiccata ambientazione barcellonese, Giardino sul mare presenta, invece, differenze sostanziali: la voce narrante non è più una giovane donna, ma un uomo già avanti negli anni, l’anonimo giardiniere della famiglia Bohigues e la storia è la sua rievocazione delle sei stagioni estive trascorse dai suoi datori di lavoro, e dai loro amici nella loro villa di un altrettanto anonimo paesino sulla costa poco distante da Barcellona. Datato 1967, Giardino sul mare venne scritto in quel prolifico periodo di scrittura ritrovata che negli anni sessanta vide la Rodoreda rinascere dopo un lungo periodo di inattività durante il suo volontario esilio politico dalla Spagna franchista. Una scrittura che definiva lei stessa una “necessità”, per continuare ad usare il catalano e recuperare ciò che aveva lasciato. Un libro nato forse più per esser scritto che esser letto: ecco allora riaffiorare dal passato, sotto forma del vecchio giardiniere di casa Bohigues, il nonno Pere Gurgui che trasmise alla piccola Mercè la passione per le lettere e per i fiori e così, ritagliata intorno a queste premesse, la figura del giardiniere sembra avere la presenza di un penate, gran lavoratore, attento, dai modi schivi ed al contempo curiosi, testimone volontario ed involontario di tutti gli avvenimenti della casa, dai più banali ai più significativi, dai piccoli vezzi di una famiglia agiata ai suoi eccessi: le gioie e le tristezze del padrone Francesc, della moglie Rosamaria, della maliziosa cameriera Miranda, del pittore Feliu Roca e di tutti gli avventori di quella villa in riva al mare, soprattutto dell’Eugeni, amore di gioventù di Rosamaria, ritornato come vicino di casa e non dimentico dei propri sentimenti. Con uno sguardo più oggettivo si potrebbe anche dire che il libro non risalti certo per una narrazione palpitante e dinamica, eppure ci si resta attaccati e la calma – ma non la lentezza – con cui procedono i ricordi vive proprio di questo, di piccoli grandi fatti, di dialoghi e particolari infusi però di un significato più prezioso altrimenti ignorato.

Luca Benedetti
(originariamente pubblicato su Pulp Libri n.88 novembre/dicembre 2010)

Piero Elia - La fortuna di perdere

recensione Piero Elia La fortuna di perdere
Piero Elia
La fortuna di perdere
Edizioni e/o, 256pp

Cantava Renato Carosone: “Storta va, deritta vene/sempe storta nun pò 'gghj/spisso 'o mmale porta 'o bbene/pò tardà, ma adda venì!”, ossia se qualcosa va storta prima o poi si raddrizzerà e finirà per il meglio, e queste parole – oltre ad aver ispirato il titolo provvisorio di questo libro - sono la confortante chiusa che i due protagonisti traggono dalle loro esperienze.
La fortuna di perdere è una brutta storia di bugie, politica ed odio, ma soprattutto è una storia di latitanza che nasconde ragioni tanto dolorose quanto verosimili. Anni ’70, Francesco e Riccardo sono amici, presi da donne, droga e contestazione politica, poi un giorno Francesco viene accusato di omicidio e scompare per sempre dalla vita di Riccardo. Anni’80, il padre di Francesco, facoltoso uomo d’affari, contatta Riccardo per metterlo sulle tracce del figlio, in India, antico amore dei due ragazzi. Riccardo non è un eroe o un idealista, la sua vita è ad un vicolo cieco, nulla sembra toccarlo più di tanto, ma la ricerca di Francesco lo coinvolgerà in una realtà fatta di segreti, depistaggi e violenza con cui per primo dovrà confrontarsi.
A far da sfondo, l’India, lo Sri Lanka, Delhi, Colombo, Kerala, e le LTTE, l’esercito secessionista delle Tigri tamil, che in quegli’anni combatteva la guerra civile per la costituzione della stato indipendente del Tamil Eelam nel nord-est dello Sri Lanka. Poi c’è l’Italia dei giochi di potere, delle lobby e dei movimenti di estrema destra che dagli anni settanta tornano violentemente nel presente di Riccardo e Francesco. Con una prosa netta e veloce, che un po’ toglie al sentimentalismo che potrebbe legare i protagonisti alla loro India, la storia procede in un concatenarsi di incontri e cambi di location solo apparentemente casuali e che fanno parte di un complesso puzzle di cui ogni tassello disseminato nel libro trova alla fine il suo posto. Terminata la lettura viene, però, da chiedersi “la fortuna di perdere cosa?”, forse certi ideali di gioventù, forse di restare fuori dai giochi e condurre una vita senza ombre, oppure la fortuna di perdere la strada vecchia per scoprirne una migliore.

Luca Benedetti
(originariamente pubblicato su Pulp Libri n.88 novembre/dicembre 2010)