Luiz Ruffato
Sono stato a Lisbona e ho pensato a te
traduzione: Gian Luigi De Rosa
La Nuova Frontiera, 95pp
Luiz Ruffato, scrittore
brasiliano più noto all’estero che Italia, dove è stato solo intravisto con Come
tanti cavalli per
Bevivino Editore, sbarca alla Nuova Frontiera con Sono
stato a Lisbona e ho pensato a te, un libro sull’immigrazione, in particolare quella dei brasiliani nel
vecchio continente, un tema non nuovo, ma confezionato in un testo breve,
eppure un fiume di parole. Intensissimo. Ruffato presenta il suo racconto come “la
testimonianza, leggermente modificata, di Sérgio de Souza Sampaio, nato a
Cataguases (Minas Gerais, Brasile) il 7 agosto del 1969…”: un artificio a cui
si aggiunge l’uso di una prima persona che consente una grandissima oralità a
Ruffato, un parlato fitto, in cui virgolettato e discorso indiretto si
mescolano di continuo in un racconto sereno, lucido ed anche ironico, sebbene
regni forte la consapevolezza che quella nuova vita cercata in Portogallo non
potrà, molto probabilmente, ricongiungersi con la vita che Serginho
si è lasciato dietro. Ruffato demitizza il fascino che nell’immaginario
del suo migrante brasiliano riveste ancora l’Europa, e quella di fare fortuna
all’estero e tornare nel proprio paese è un‘illusione che non tarda a palesarsi
come tale. Interessante scoprire, nella postfazione del traduttore, che il
disincanto di Serginho abbia anche una forte dimensione linguistica
che nella traduzione ovviamente si perde. Serginho è convinto che, essendo
madrelingua portoghese, andare a Lisbona sia la scelta migliore, Ruffato invece
dissemina la sua strada di portoghesi, brasiliani, angolani, saotomensi,
capoverdiani che, seppur lusofoni, non parlano il suo stesso portoghese, così quel
suo asso nella manica si trasforma in un ostacolo in più da superare. Deciso a cambiare vita dopo la nascita accidentale di un figlio ed un
matrimonio con una ragazza poco stabile mentalmente, stanco delle diatribe tra
le due famiglie per l’affidamento del piccolo Pierre e convinto, un giorno, di
potersene tornare ricco a Cataguases per buttarsi nel commercio edilizio, Serginho scoprirà che «non siamo niente, “Non abbiamo neanche un
nome”, siamo i brasiliani, “E cos’è che siamo in Brasile?”, sempre niente,
siamo gli altri, “Che paese di merda!, terra di ladri e figli di puttana!». Una
vivida citazione che chiosa il libro col il peso di un monito.
Luca Benedetti
(originariamente pubblicato su Pulp Libri n.89 gennaio/febbraio 2011)