lunedì 18 maggio 2015

Mercè Rodoreda - La Piazza del Diamante

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Mercè Rodoreda
La Piazza del Diamante
traduzione: Giuseppe Tavani
La Nuova Frontiera, 223pp

In occasione del centenario della nascita di Mercè Rodoreda (1908-1983), La Nuova Frontiera ripropone in Italia uno dei suoi testi più importanti, sia per la letteratura catalana che europea. Una data che si accompagna anche ad un riconoscimento tardivo della critica nei suoi confronti, quale una delle maggiori autrici del dopoguerra spagnolo, tanto che, in un pluricitato articolo de El Pais degli anni ’80, lo stesso Gabriel García Márquez si stupiva di come, alla scomparsa della Rodoreda, la notizia non avesse oltrepassato i confini iberici. In merito, del 2008, si è parlato come dell’Año Rodoreda: su iniziativa della Fundación Mercè Rodoreda e delle istituzioni spagnole si sono avvicendate ristampe editoriali in tutta Europa, giornate accademiche a Parigi e New York, una riduzione teatrale di Josep Maria Benet i Jornet, rigorosamente in catalano, e la presentazione di una edizione gratuita de La Piazza del Diamante alla Fiera del libro di Francoforte. Un anniversario che, con questo libro, ci porta indietro di settant’anni, all’alba della guerra civile spagnola fino all’ascesa di Francisco Franco, quando la Rodoreda, antifascista e impegnata sul fronte indipendentista del governo autonomo della Catalogna, sceglieva un esilio trentennale che si sarebbe concluso solo nel 1972. È sul filo di questi anni che si svolge la La plaça del Diamant ed è proprio là, in quella piazza barcellonese, che con un paso doble di danza, Natàlia conosce il futuro sposo Quimet. Ragazza timida, di poche parole e ancor meno malizia, Natàlia viene così trascinata nella vita, con un marito passionale e carismatico, allevatore di colombi ed ebanista, un amore che, poi, la guerra civile le porterà via, lasciandola sola e con due figli da crescere. Un iter durissimo che sfiorerà la tragedia e dal quale si riscatterà solo con un secondo salvifico matrimonio, non privo, però, di vecchie ferite. La voce che la Rodoreda adotta è la voce di Natàlia stessa, meravigliata, remissiva, concitata, felice e disperata, più vicina al parlato della confidenza che alla parola scritta, “con uno stile” – si legge nella postfazione di Giuseppe Tavani – “volutamente discorsivo, ritornante, quasi elementare ma che si mantiene in prezioso equilibrio tra lingua viva e «grammatica»” e che “rievoca le vicende quotidiane di una donna semplice, ingenua, fragile eppure capace di far fronte alle difficoltà crescenti della vita con insospettate risorse”. Una voce che è anche quella del popolo catalano, trafitto e privato della propria libertà, dove i ricordi, gli affetti e le paure si spiegano e si raccontano con immagini altrettanto semplici, come l’umile veccia del droghiere, il vecchio orologio di Quimet, lo svolazzare dei suoi colombi o le fucilazioni in piazza e le bandiere, tesori della memoria e del “tempo che non si vede e ci impasta”. 

Luca Benedetti
(originariamente pubblicato su Pulp Libri n.79 maggio/giugno 2009)

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