After Dark
traduzione:
Antonietta Pastore
Einaudi, 178pp
Si
intitola Automat ed è un quadro di Edward Hopper del
1927. Immaginate una ragazza dell’epoca seduta in una tavola calda, guarda la
tazza di caffè che tiene in mano, indossa un cappellino giallo anni ’20 e,
oltre una vetrata, le luci della strada si perdono nella prospettiva notturna
alle sue spalle. È sola. Ora spostate la scena in una caffetteria giapponese,
sostituite il cappellino giallo con un berretto dei Boston Red Sox, il caffè è
ancora caldo ma la ragazza non è più sola, le si è appena avvicinato un ragazzo
dall’aria trasandata e ciarliera. Loro sono Mari e Takahashi. È questa
l’atmosfera migliore per calarsi nelle pagine di After Dark, un palcoscenico
tanto metropolitano, solitario e dalla luce innaturale, quanto onirico,
irrazionale, “altro”. Il dove è una Tokio fatta di luci e di jazz, di locali e
di alberghi a ore, ma è anche una Tokio silenziosa, ritagliata nelle sue ultime
ore prima dell’alba. Il quando è una notte che ne contiene tante altre, fatte
per chi picchia le prostitute, per chi suona in uno scantinato, per chi stringe
momentanee amicizie e per chi si crea una nuova identità. Ma c’è anche un
“altrove”, quello di Eri, la sorella di Mari, “prigioniera” di un sonno che
dura da mesi, una letargia autoindotta che apre porte verso altri mondi, luoghi
sconosciuti che popolano quella fenditura surrealista che Murakami ama
attraversare e raccontare, ma non investigare, lasciandola lì, libera nelle
nostre menti. Così tra sonno e veglia si costruisce una storia corale fatta di
vite parallele e satellitari, tanto lontane, quanto inconsapevolmente legate
assieme. Murakami, però, non gioca con un destino machiavellico e concitato per
giungere ad un qualche inesorabile finale. No. Le vite di Mari ed Eri, di
Takahashi, Kaoru, Kōrogi e Shirakawa continueranno anche dopo la fine di questa
lunga notte, ma non è dato sapere come. Non avrete tutte le risposte, Murakami
stesso non le cerca. Come non ha cercato Sumire, scomparsa “altrove” ne La ragazza dello Sputnik, anche
ora non finisce il suo quadro, tratteggia solo uno schizzo e lascia che si
colori da solo.
Luca Benedetti
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